sabato 25 febbraio 2012

[diario]: di Bologna, di viaggi, di amici... della vita(mina)

Gentili Tutti,

torno a scrivere un post da un treno dopo tanti anni.

Ho sempre pensato che i treni fossero il luogo dove le persone cullate dal dondolio della velocità su binari, riescono a lasciar spazio ai ricordi nei propri pensieri.

Sarà che forse i finestrini come film monotoni ma incantevoli concilino il perdersi nei ricordi dei passeggeri che hanno la buona educazione di dimenticare il cellulare.

Il mio viaggio di oggi non è di lavoro, ma di piacere, ed uno di quei viaggi che si compiono per salutare una partenza.

Anzi meglio per celebrare una partenza. Molti di voi avranno notato la fascetta che troneggia nel head di questo blog, che recita “I love bologna”.

La fascetta non è lì per motivi calcistici (schifo il calcio e trovo le partite di una noia mortale) ma come ricordo della città dove vive una parte della mia famiglia acquisita.

Nei primi anni del nuovo millennio, mi sono trasferito a Bologna, inseguendo il sogno di uno stage nel mondo dei fumetti. Ho lasciato Napoli, in corsa, di fretta, come quando si esce di casa per comprare un pacchetto di malboro light, per cercare di realizzare i miei sogni infantili.

Ho rinunciato ad un lavoro a Tel Aviv e sono partito per il capoluogo dell’Emilia-Romagna,per il capoluogo dei fumetti, per il capoluogo dei miei futuri. Arrivato nella città ho vissuto per qualche tempo nella solitudine di un collegio per lavoratori (in buona parte muratori di 40 anni che vivevano bologna come terra promessa in cui cercare un lavoro all’alba degli anni della grande crisi italiana) in periferia. Dopo nove mesi,dal mio arrivo da fuori-sede-in-ritardo Bologna era diventata coperta dalla fredda neve che io conoscevo solo dai film-tv del pomeriggio di canale 5, io ero coperto da un lavoro (lo stage si era per magia trasformato in un contratto) ed io stavo solcando la soglia di una casa in via del Chiù, per fittare una camera grande come un ripostiglio, ma ai miei occhi biblioteca infinita e perfetta per archiviare i prossimi anni della mia vita disordinatamente.

In quella casa avrei trovato gli amici, i fratelli e L’unica RagazZa. Certo nei fazzoletti di liberta che la passione per il mio lavoro mi lasciava sporchi in camera non c’era molto per costruire amicizia ed altro, ma il calore, le litigate, le convivenze forzate avevano trasformato le mie domeniche in tavole imbandite con tovaglie tutte diverse e mai troppo grandi, in piatti di plastica e bicchieri unici e mai uguali (neanche in coppia per sbaglio) di nutella, lavatrici a turno, sigarette fumate di nascosto, nessuna solitudine ed un citofono che suonava più di roger waters ubriaco con mille voci che rispondevano semplicemente:IOOOO.

Erano gli anni in cui A. il prode pastore, Dsan e la dieta del dott. Yamanaka, Il capitano di vita Jean Luc, M. l’uomo con la-ciolla-in-mano, F. la ragazza di cagionevole salute e M. la vicina, si erano uniti a me per creare il più eterogeneo, fancazzista, casinista, ben assortito gruppo di supereroi che per semplicità e affetto chiamo famiglia acquisita (per la modica cifra di 5 euro!).

In quegli anni avevamo eletto a nostro luogo di culto il locale finto caraibico Characol,dove anche se non ordinavi niente potevi finire ubriaco a ballare sui tavoli, e in cui le nostre vite si sono shekerate tra sorrisi, alcol e conoscenze diventavano affetto.

Tra 15 minuti il mio treno entrerà nella stazione della memoria di Bologna, ed io mentre sbircio i finestrini alle spalle di chi si è dimenticato il cellulare accesso e vicino alla bocca, posso distinguere tra le luci distanti che scappano verso milano e le ombre colorate degli altri passeggeri riflessi, le passeggiate ubriachi alle 5 del mattino sotto i portici, i film scaricati con emule e visti sulla tv a tubo catodico, gli stendini pieni di calzini e boxer infilati nel corridoio come auto in doppia fila all’ora di punta in pieno centro a Napoli, i pianti in cucina in ci raccontavamo la vita prima di bologna, gli abbracci dopo i giorni sbagliati e le serate stronze, le t-shirt assurde scambiate al color rosa indossate nella noia delle domeniche pomeriggio, le spese in gruppo al supermercato fatte al 98% d’alcol e soprattutto le solitudini quelle in cui non parli ma i tuoi amici ti leggono, quelle che avvengono dopo le brutte telefonate a casa, quelle che non condividi ma che gli altri capiscono prima di te.

Ora il mio flashblack dissolve in bianco e sono ancora seduto nel mio freccia rossa, lamia vita è cambiata, e noi forse siamo maturati, forse siamo cresciuti, siamo diventati fragili e distanti, vittime felici delle nostre scelte, le mie sbagliate, le loro sempre speciali con me.

L’affetto non è cambiato,la mia vita si, ma 200 kilometri non mi tengono distante dalla famiglia, e poi questa sera abbiamo da festeggiare, anzi da celebrare, e state sicuri che domani qualcuno dovrà reclamare,per tutti insieme non smettiamo mai di urlare che quando siamo insieme siamo come una fantastica famiglia a Natale.

Vi ho scritto di me, forse cosi per condividere o come sempre per Mettere Ordine in Casa.

(igor non mi sono dimenticato di te... dai forza con la polaroid strappa lacrime napuletane stile Romanzo Criminale)




PS: siamo io (quello senza capelli), il freddo ed il libanese. Ne mancano ancora due ma arriveranno... dall'altra parte sono pingoni.

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