venerdì 30 marzo 2012

[diario]: filosofia da maschio

Gentili Tutti,

sono le 8 e 12 minuti di un bellissimo sabato mattina mentre mi appresto a scrivere un nuovo post.

Ho le gambe incrociate ed il mac sul letto, mentre sbircio mi godo la finestra aperta su di una piccola stradina di Cannes.

Da tempo il mio gran bel lavoro (#isognisirealizzano) mi ha regalato la possibilità di vivere un mese all'anno della mia vita in questa cementifica bella finta città della costa azzurra.

In sottofondo lascio scorrere una canzone dei radiohead mentre mi lamento con me stesso di quanto riesco ad essere disordinato in una camera d'albergo in cui sono entrato da soli due giorni.
Il disordine è come un segugio ti segue in ogni attimo, in ogni luogo, di segue in auto e ti si piomba in qualsiasi casa tu vada. Penso di poter essere definito senza dubbio un portatore (poco sano) di disordine.

Ora sono immerso in un gran bel letto matrimoniale bianco, che è circondato a sua volta da una camera bianca, in cui c'è persino un televisore bianco, ed io mi sento sempre più sporco e desideroso di diventare un graffiato o almeno di metter su un poster di Casablanca, che nel bianco ho sempre paura di affogare.

Nelle stradine che coronano il lungo mare di cannes, vive una pletora infinita di ristoranti, tutti carini, tutti che sembrano essere spuntati da una cartolina turistica finta ma tutti con una cucina inequivocabilmente buona. Certo questi mangia rane ovviamente non conoscono il concetto di pasta, ma sono bravissimi nel cucinare i crostacei.

E proprio in una cena meravigliosamente in bilico tra amicizia e lavoro, che mi sono ritrovato con una domanda che mi ha spedito "nel paese delle mille ed una filosofie", paese che noi maschi di solito visitiamo al mattino presto e che di solito prende forma tra il bagno e la camera da letto ogni volta che ci alziamo con poca voglia di sesso mattutino e zero desiderio di puntualità.

I maschi dopo i trenta finiscono per diventare filosofici al mattino, in realtà non è che noi si faccia questa scelta con consapevolezza, ma semplicemente perché resta la più facile da fare per perdere tempo.

Ovviamente il tutto finisce appena usciamo di casa e incontriamo il primo culo o il primo paio di ette in bella camminata, da quel momento in poi pensiamo solo e soltanto a: phega!

Cioè alt, non fatevi strane idee, in realtà pensiamo alla phega anche quando siamo "nel paese delle mille ed una filosofie", solo che in quei momenti pensiamo alla phega come un essere vivente e non solo come un oggetto gemente nelle nostre fantasie da erezione del mattino.

In quei momenti, ci domandiamo in che direzione stiamo andando e in quale cavolo di stazione ci porterà sto treno che tutti chiamano vita.

Io ieri sera mi sono chiesto quanto mancherà al giorno in cui avrò una famiglia.
Ora a voi sembrerà stupido ed ovvio, ma sapete anche a noi maschi accade di avere un orologio biologico, che differenza di quello delle donne, è regolato male, funziona male e di cui non dovreste mai fidarvi.

Ora se aspettate da questo post una bella risposta, ovvero quando un uomo inizia a volersi costruire una famiglia, beh lasciatemi dire che non lo so, ne voglio una, di questo sono sicuro, ma cavolo sono stronzo e gli stronzi finiscono sempre per rovinare tutto e rovinare una famiglia è una gran responsabilità quindi ci penserò bene prima di decidere dove fermarmi (o fingere di essermi fermato).


Ora cari miei 42 lettori scappo fuori, ho una vita che mi attende e come ogni bravo uomo saprò arrivarci in ritardo e distratto, voi intanto provate a Mettere in Ordine Casa vostra che io la mia l'ho lasciata a milano.

sabato 24 marzo 2012

[diario]: al meglio a 35 anni

Gentili Tutti,

il mare di rapallo celebra lo sfondo di una vista che mi regala il miglior sorriso di oggi.
Ci sono giorni in cui ti domandi perché mettano dei maxi-schermi in certe camere d’albergo se dalla finestra c’è un panorama che ti toglie il fiato e t’incolla senza stancarti più di episodio dell’ultima stagione di Games of Throne.

Se Igor fa il suo dovere a seguire dovreste trovare una bella polaroid che ripropone la magica visuale:


Ora penso che voi miei 42 lettori sappiate bene, quanto io sia totalmente innamorato del mio lavoro (#isognisirealizzano), ma ci sono giorni come questo in cui lavorando mi sento come quando in un letto ad una pizza la vostra Lei vi parla mentre ha la testa sul vostro incavo-petto-spalla, e voi fate un dio medio alla rotazione terrestre e allo scrorre del tempo, e vi sentire come Terence in Candy Candy, solo più basso, rock e bassista alcolizzato.

Passando a questioni più serie mi lascio andare ad una scrittura da finto autore, accendo il flusso di coscienza, e mi godo il macbook lasciato in solitario sul tavolino essenziale del balconcino della camera d’albergo di cui sopra, che silenziosamente trasforma in un file word i pensieri di questi giorni.

In questi giorni il mio amato lavoro mi ha portato a Rapallo, ridente cittadina di mare che incornicia quel gran pezzo (dell’ubalda tutta nuda e tutta calda) della costiera Lingure che da quattro anni ho imparato a conoscere bene (cioè senza l’uso del navigatore gps). Ora se voi come me siete nati in una bella città di mare, ma il lavoro vi ha condotto a vivere in una gran bella città ma decisamente deficitaria di mare, potrete intuire quanto io abbia la sensazione di casa stando in silenzio a godermi il profumo di mare. Una sensazione che porta con se un bel bastimento carico di ricordi e pensieri filosofici.

Quando si hanno 35 anni, e le autostrade d’Italia sono finite per diventare le tangenziali della città che chiamate italia, iniziate ad avere questi attacchi da scrittura compulsiva ogni volta che finite per ritrovarvi in silenzio a fissare un mare che ricorda casa.

In certi momenti guardate il vostro pacchetto di paglie, tirate un bel dito medio al rallenty, e vi godete il profumo di casa mentre indossate le vostre rayban d’ordinanza, e vi sentite il meglio di voi stessi, e allora non c’è specchio che tenga o copertina di Men's Health che si voglia, voi siete la miglior foto di voi stessi ed il resto conta quanto uno zero assoluto.

I 35 enni penso che abbiano abbastanza momenti “al meglio”, molto più dei 20enni o degli adolescenti in generale.

Vi sembrerà forse assurdo, ma penso che i miei coetanei mi possano capire perfettamente. Ora a beneficio dei non [Classe-76] proverò a scrivere al riguardo.

Quando abbiamo ventanni è probabile che noi generazione nerd, si sia cresciuti con troppi cartoni animati e troppo amore (#maitroppo) materno, e si sia finiti per essere sempre preda d’innamoramenti impossibili di ragazze troppo carine per il nostro livello, che ci facevano innamorare solo guardandoci (guardandoci ok una parola troppo grossa, diciamo guardando nella nostra direzione per sbaglio). E da quello sguardo partivamo in sogni impossibili che ci vedevano protagonisti assoluti di:
1 - passeggiate romantiche mano nella mano al tramonto sul lungo mare della vostra cittadina tutta cemento e poca storia;
2 - falò fatti di birre e coperte divise in due tra rumori di baci ed onde;
3 - dichiarazioni d’amore fatte sul muretto vicino alla scuola;
4 - cinema di periferia pieni in due a rivedere “ritorno al futuro – parte III”
5 – cassettine duplicate male con il fruscio dei gunsroses ascoltate in camera di lei mentre i genitori di lei passano piano vicino alla porta mentre tu le racconti perché ami così tanto quel cavolo di Jack Frusciante è uscito dal gruppo;

Ma alla fine la realtà finiva sempre (nelle migliori delle occasioni), con tu e la tua ragazza-dei-sogni che siete nei bagni del liceo durante un intervallo infinito tra odore di canne e pipì, e lei che ti racconta di come abbia baciato quello stronzo di V-B che sembra Kurt Cubain (de’ noi artri) durante la gita di quarta a parigi anche se lui è strafidanzato e alla fine però lei è innamorata e quindi che a te ti vede come un amico e che alla fine cioè non LE PIACI.

E allora da lì in poi tutto un vedersi brutto stile cesso e autostima sotto gli anfibi doctor martin o le adidas false, ed il massimo è ammazzarsi di fai-da-te su Video-Girl-Ai e DAILAN DOG (che a 16 anni lo chiamavo così) in bagno mentre tua madre ti chiede quando esci dal bagno.

E poi dissolvenza in bianco e finisci 15 anni dopo-dopo, che sei un fissato con i 40 minuti di corsa al sabato o la palestra se ti viene bene nel dopo ufficio, le ragazze sfilano in sequenza e le chiamate senza risposta si accumulano sul cellulare, il sesso e l’Amore l’hai bruciati nelle camere in affitto da fuori sede, e ora quello che sai di te-stesso è che se vai con una ragazza 10 secondi dopo vuoi solo che si teletrasporti via da casa tua perché in testa hai solo la voglia di amici e cubalibre.

Perché alla fine quello che sogni è solo la tua ex che hai trattato da stronzo o almeno così di dici per sentirti meno stronzo di quello che sei (che noi maschi a giustificarci siamo dei geni).

Eppure in alcuni momenti, quando questa storia ti resta scritta dentro (anche se non la leggi) finisci per compiacerti del distacco con cui vivi il mondo e guardandoti in un attimo in terza persona ti trovi “al meglio” perché alla fine con te stesso ci stai bene e le tue affermazioni le hai avute, e almeno una volta una ragazza ti ha fatto sentire in ordine con il mondo.

A quei momenti, quelli che volano via leggeri dedico questo diario, “al meglio”

domenica 18 marzo 2012

[Classe-76]: Le migliori città della nostra vita

Gentili Tutti,

manca poco alle 22 di una domenica sera di un marzo che regala primavera alla città di Milano.

C’è un soundtrack improvvisato che si diffonde nella mia solitaria casetta rossa e blu, attualmente la vecchia sigla della serie tv CinCin regala un’atmosfera pulita e nostalgica al videoclip della mia vita, mentre cerco di mettere Ordine ai miei pensieri per dare il via ad un nuovo straordinario episodio di [Classe-76]. Il tema di questo nuovo strampalato nerdistico e nostalgico episodio sarà (tenetevi forte perché questa rivelazione non vi cambierà per niente la giornata): Le migliori città della nostra vita.

Ok, perché parlare di città in un episodio della rubrica che prova a raccontare il mare di luoghi comuni in cui siamo cresciuti noi trentenni contemporanei è presto detto. Ci sono luoghi che sono diventati leggende nella nostra adolescenza e che a prescindere se siano poi divenute nostre nuove dimore o meno, sono rimaste ferme-congelate nei ricordi del nostro passato.

Ora che ci siamo tolti il dente del perché , rompiamo gli indugi e facciamo partire il nostro personale viaggio nel tempo (igor mi raccomando le polaroid le voglio belle!!!)

Bologna




Ovviamente non potevo partire da altra città. Bologna si è guadagnata un posto nell’immaginario di noi trentenni in quanto è diventata scenografia dei nostri sogni universitari. Personalmente ho iniziato ad amare e idealizzare Bologna grazie al DAMS. Se avevi 18 anni negli anni 90 ed eri in fissa per i cartoni animati, i fumetti ed il cinema, il DAMS sembrava essere la Mecca dove dover andare a pregare per poter immaginare un futuro lavorativo nelle nostre passioni. Ho provato in tanti modi a convincere la mia famiglia a mandarmi fuori-sede al DAMS ma alla fine tutto aveva il sapore di una litigata ed i sogni del capoluogo dell’emilia-romagna vivevano solo nei racconti dei colleghi d’università che ci erano andati veramente. I portici, le case editrici di fumetti, le Feltrinelli ovunque, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, gli MTV Day, i tortellini, le ragazze con l’accento marcato ed il sorriso in primo piano, questa era la mia Bologna , semplicemente impossibile e semplicemente reale.

NB: nota biografica per i curiosi: alla fine a Bologna ci ho speso 6 anni della mia vita, ci ho costruito:

1 - una Famiglia d’Amici;

2 - Il ricordo dell’Amore che ho rovinato;

3 – i sogni professionali

Roma

Se siete vissuti nel sud italia per un’adolescenza e mezza allora avete anche voi visto in Roma la linea di confine tra le gite scolastiche di terza liceo e i primi lavori. Roma era una Bologna in minore, o semplicemente una Bologna più raggiungibile. La nostra capitale mi si è scolpita nell’animo con il suo accento tirato e comico conosciuto prima da miliardi di film con Enrico Montesano e poi dal vivo, con calma senza fretta ma soprattutto con gli amici. Se bologna era la scenografia di musica, libri e fumetti, Roma era nell’immaginario la scenografia di mille film e mille pagine di libri di scuola. Eppure passeggiare per Prati, andare in auto verso l’alba a spiare i fori imperiali, fingersi stranieri sotto il colosseo o perdersi nel San Pietro visitata con i genitori nelle gite della parrocchia, non ha prezzo, ed ancora oggi quando di sera passo per campo dei fiori non posso fare a meno di fermarmi incantato dal vociare che rende unica la città immortale. Ma Roma era anche la prima fermata nel treno, rigorosamente Espresso, per la maturità per molti ventenni targati anni 90 con i suoi primi lavori ed il suo sapore di smog e storia.

Londra


La mia città, quella che amo, quella che sogno ancora oggi quando sono da solo con tanta voglia di musica , parchi e fumetti. Londra era la scusa giusta per diventare camerieri passati i ventanni, era la città di cui tutti ti raccontavano e che finivi per immaginare sempre meno bella di quello che sarà sempre. Ricordo il mio primo lavoro per l’agenzia di viaggi dello zio, la scoperta dei Cab, le prime birre, i pounds che suonano belli DELle sterline, il forbiden planet, il virgin store (pace all’anima sua) con la sua musica da ascoltare gratis per chi ancora viveva con le cassettine duplicate male di vasco e ligabue, Piccadilly Circus che ogni volta ti toglie il fiato per il freddo ed i mille colori, Hyde Park con il suo verde senza fine e quelle onde colorate che si chiamano scoiattoli (che prima erano per me solo Chip e Chop), i fumetti in lingua originale, i bollitori, i musical, e le ragazze bionde (miliardi di ragazze bionde, che poi cioè alla fine le bionde non ti sono mai piaciute, ma mai viste così tante come la prima volta che sei sceso a Piccadilly Circus) e poi… tanti poi… Se qualcuno di voi mi chiedesse, perché amo Londra, beh metterei su il White Album dei Beatles e poi… basta così.

Firenze


Che sarebbe come dire una bella barzelletta che magari fa ridere poco o niente ma che quando ha quell’accento lì, tutto aspirato e con tanta Cocacola, ci ridi fino a lacrimare, magari seduto per strada in mezzo alla cultura italiana bevendo Moretti e dividendoti una sigaretta con gli amici. Firenze ha un posto speciale nel cuore dei Classe-76 perché rappresenta l’arte ed i weekend. Andare a Firenze non vuol dire andarci a vivere o a passare una serata con gli amici, firenze è sempre un lungo weekend e non chiedetemi perché. I fiorenti ed i toscani in generale sono il sale del nostro Bel Paese, ci ho speso mesi della mia vita tra vacanze estive con i parenti, viaggi da colleghi che poi alla fine diventano amici. E alla fine Firenze resta questo una bella passeggiata nel centro, non la città delle serate folli ma quella dove scoprire l’arte tenendo sempre gli occhi puntati verso l’alto ed un sorriso in tasca sempre pronto.

Napoli


O ci siete nati o ci avete fatto l’università. Io entrambe in un colpo solo. E’ la città che mi accompagna, quella che mi tengo stretta al cuore, quella che avete amato dalle canzoni di Pino Daniele (se qualcuno qui ascolta quel tipo di nome Gigi siete pregati di andare su altri blog, GRAZIE), quella dei 99 posse sempre e comunque, quella degli Almamegretta, quella dei presepi e del mare che ti spezza il fiato ogni volta che lo ammiri da Posillipo, quella della pizza che a’cu’sì ta puo’ scurdà guagliò. Ecco questo è napoli, certo è molto altro, ma se ci passate chiamatemi, Napoli è l’unica città del mondo in cui non mi perdo mai, e vi farei vedere gli angoli più belli, quelli che vi entrano e bruciano per sempre. Si dice: Vedi Napoli e poi muori. Ma non ho mai capito cosa voglia dire… quindi fate voi miei 42 lettori, che siete più bravi di me.

Milano


E’ la città dell’essere grandi, dell’essere maturi, del lavoro, dei tram e del divertimento. Non ho mai amato milano, eppure giorno dopo giorno mi faccio conquistare da questa signora gentile. La città sembra essere uno shekerato di tutte le altre di cui abbiamo parlato prima, ma con un taglio in più. A milano, tutto sembra realizzabile, tutto sembra vero, e se guardi da vicino, se non ti fermi all’apparenza tutto è vero sul serio. Sembra impossibile eppure la città che meno avevo considerato nella mia vita, quella di cui senti sempre parlare ma che non vedi mai, quella che era troppo in alto con la sua Sergio Bonelli, la Mediaset, la Mondadori, gli uomini con capello e cappotto, quella della moda e di radio deejay, quella è la città in cui vivi bene, anzi vivi sempre meglio. Qui i sogni sono veri e poche chiacchiere.

Barcellona


Napoli in Do Maggiore. Una città in cui tutto è ampio e sembra portati al mare, la città delle tapas e delle ramblas, quella degli Skap e della lingua che è magica e sensuale sempre, dove i sorrisi non sono promesse e la libertà ha il sapore di un film di Almodovar. Una città che ti fa gridare: ci resto, fermate il mondo ci resto. Ma poi alla fine l’aereo riparte ma ti resta la voglia di tornarci, ma forse non di viverci, perché in fondo Barcellona è un estate, e nel bene o nel male l’estate finisce sempre.

E alla fine siamo giunti alle conclusioni finali miei cari 42 lettori, come sempre spero di non avervi perso dopo le prime tre righe, ma se pure fosse va bene così perché alla fine il primo lettore di questo blog sono io, e quello che scrivo serve prima di tutto a me e al mio percorso per cercare di Mettere Ordine in Casa.

Per la cronaca finiamo con una citazione, una volta dopo che io avevo già rovinato tutto, mentre viaggiavo per milano in notturna, più o meno all’altezza di uno dei mille semafori di cadorna, L’unica RagazZa mi ha detto una di quelle frasi per cui ogni tanto allungo ancora la mano sul sedile anteriore cercandola: le città sono belle per le persone che ci vivono e non per altro.

ed io per fortuna ho conosciuto tante belle città.

La playlist è finita, ora la mia casetta rossa e blu e piena solo del mio tichettare alla tastiera, adesso è tempo che vi chiudo la porta… ho da ricordare l'ultima città.

giovedì 15 marzo 2012

[diario]: di viaggi, di scrittori e di flussi di coscienza

Gentili Tutti,

un sole di quasi primavera colora le grandi vetrate dell’Aereoporto di Heathrow nei pressi di Londra.

Sono di ritorno da una veloce trasferta in Inghilterra per lavoro, sono stato a Bristol florido centro televisivo a nord di Londra.

I tavolini del bar dove siedo sono in finto legno antico, un caldo the inglese fuma alla mia sinistra mentre scrivo sul mio nuovo MacBook Pro; ad un osservatore distratto potrei apparire uno scrittore immerso nel suo prossimo romanzo, che cerca ispirazione durante le pause di una trasferta improvvisa, ma purtroppo sono un semplice manager che complice la batteria scarica del suo blackberry ha trovato un attimo per aggiornare il suo amato blog.

Ora dovreste sapere, miei cari 42 lettori, che da quando ho aperto questo blog, spesso con gli amici ha luogo il seguente dialogo:

- Ehi V. sai che ho letto il tuo blog?

- Ah beh grazie, e quindi cosa ti è piaciuto?

- Si cioè scrivi bene, ma cioè sembra più un flusso di coscienza senza ordine, più che un blog.

- Ah… ok… si beh dai grande & grazie di essere passato.

Insomma accade così, un giorno sei felice del tuo blog, ed il giorno dopo ti stai chiedendo che stile tenere quando scrivi la tua amata rubrica [diario].

Alla fine ho deciso che non si può scegliere uno stile, che forse la grande differenza tra me ed uno scrittore è proprio lì (oltre che in un milione di lettori di differenza): essere liberi di scrivere senza uno stile.

Se fossi davvero uno scrittore, molto probabilmente ora sarei costretto a correggere, editare, accorciare o allungare i miei post, invece sono un blogger (e neanche famoso) della domenica, che scrivere solo nel desiderio di mettere in fila i propri pensieri, e quindi mi posso assumere la liberà di non scrivere bene o di usare uno stile eccessivamente personale.

Il fatto che a leggermi siate in pochi mi concede tante libertà, o forse il fatto che io mi conceda tante libertà fa si che siate in pochi a leggermi?

Bah, sinceramente la risposta non m’importa. Mi importa solo che qualche amico mio sia passato di qui ed abbia investito qualche minuto della sua vita per leggere come provo ogni giorno a mettere ordine in casa.

A questi miei amici dico grazie, perché ogni critica è costruttiva, e da esse posso imparare ad essere meglio di quello che sono.

In fondo se leggete questo blog da un poco sapete che lo scopo con cui è nato è proprio quello, essere un diario delle mie giornate mentre cerco di essere migliore, mentre cerco di mettere ordine in casa.

Ora visto che vi conosco per la vostra dipendenza dalle polaroid eccone una come ricordo della mia serata a bristol (igor per piacere muoversiiii!!):


giovedì 8 marzo 2012

[Classe-76]: i migliori libri della nostra vita (ll primo che dice moccia e vespa rischia una giostra di paccheri... & qui nessuno fa la pasta)

Gentili Tutti,

una tosse spezzante mi trancia il respiro. Vivere d'asmatico non e' proprio semplicissimo.
Certo ci sono cose molto peggiori, come essere infestato da alieni insettoidi che covano le uova nel nostro torace, o finire come cavia da tortura in club di dediti alla scarnificazione periodica delle vittime, ma non sempre si riesce a cogliere il lato positivo della giornata certe volte.

Ho fiducia in alcuni punti fermi, ed uno di essi, uno che mi da piacevole sicurezza e' il vivere in simbiosi con la mia tosse.

E' stata una compagna fedele, per anni, non mi ha mai tradito, c'e' stata sempre, senza timore di far male e senza mai farsi dimenticare.

Ho passato una vita in cerca della compagna perfetta (#credici tanto pensi solo a L'unica RagazZa, nota del blogger), ma alla fine mi sono reso conto di averla sempre avuto accanto e non aver mai distinto la sua presenza: la Tosse Asmatica.

Essere malato periodicamente implica mille conseguenze, la prima e' che passi molto tempo a letto.

Cio' significa che leggi tantissimo (naaaa), guardi tantissima tv (si anche ma non sempre), ti ammazzi di fai-da-te (#ovvio), giochi poco con gli altri (cioe' diventi #nerd).

E cosi dopo questa lunghissima premessa ecco arrivare l'inconfondibile sigla della rubrica che tanto amate, signori e signore, belli e barbuti, nani e uomini nei polmoni d'acciaio, ecco a voi un nuovo glande episodio della rubrica [Classe-76], dal titolo: i migliori libri della nostra vita (ll primo che dice moccia e vespa rischia una giostra di paccheri... E qui nessuno fa la pasta):

Jack Frusciante e' uscito dal gruppo.


Ok, e' stata la tua personale prima-cotta letteraria. Era una calda estate di meta' anni 90, io avro' avuto più' o meno sedici-tante-seghe-anni, ed ero in vacanza lampo (dopo i quindici anni odiavo andare in vacanza con i miei genitori e mi ritagliavo un massimo di 15 giorni nella loro casa al mare tra le urla di mia madre) a minturno, dove passavo il tempo ad andare in bici, a fumare di nascosto da solo, e a visitare ogni edicola nel raggio di ventordicilima kilometri. Alla fine in un edicola lontana quasi 200 metri da casa dei miei acquistai pochissimi fumetti (all'epoca solo Dylan tante-seghe-con-le-sue-donnine-nude Dog) ma rimasi colpito da una rivista (brrrrr le riviste le leggeva mia madre) tipo a fumetti: una certa Linus, con in allegato un romanzo. Ricordo di aver pensato che ci poteva stare comprare un libro per la prima volta nella mia vita. Prima di allora se escludiamo la Bibbia, il primo capitolo (o era la prima pagina??!!!) de I ragazzi della via Pal, e dicasi ben tre capitoli del capolavoro Moby Dick, non avevo mai letto nulla di nulla (forse neanche un quotidiano o una rivista di mia madre, al massimo il postal-market ma ci facevo altro invece di leggere). Comunque non so per quale ragione, o per quale reflusso di coscienza, avevo la strana voglia di leggere un fumetto ma senza disegni.
Penso di aver iniziato a leggere il romanzo allegato a Linus poco dopo essere arrivato a casa, tra balcone, letto, sdraio, bagno, spiaggia, lungomare, panchine e scale... E di aver smesso solo a libro finito.
Fu assurdo, era un libro sgrammaticato, inconsistente, povero e lento, ma era uno specchio della mia vita.
Anzi era uno specchio di come avrei voluto la mia vita.
Io non ascoltavo i red hot chili peppers, non conoscevo amici con cui alcolizzarmi tra vodka e abbracci del mulino bianco, non avevo la bici per andare a scuola, e non avevo la vita del vecchio Alex D., ma ovviamente sognavo di averla. Sognavo Bologna, sognavo un amore come quello con Aidi: puro, incontaminato, semplice ma travolgente. Per anni ho atteso una Aidi nella mia vita, alla fine quando e' arrivata però, ero io ad essere sparito... al mio posto c'era solo uno stronzo VERO.

Il Giovane Holden


Ok se jack frusciante e' uscito dal gruppo era il big bang della lettura, il giovane holden era la prima stella grande dell'universo.
La vita di Holden, non era la mia, io ero lontano anni luce dai suoi anni, eppure le domande che si poneva, i dubbi con cui attraversava la strada della vita erano i miei. I suoi pensieri erano una versione grammaticalmente corretta dei miei. Con il tempo ho amato questo romanzo sempre di più e alla fine ancora oggi mi faccio delle domande su dove siano finite le anatre quando gela il laghetto.

Due di due.


Ok ok ora non insultate a sedici anni oltre ad ammazzarmi di seghe ero anche romantico. E se conosco bene anche voi, nati come me tra il finire dei gloriosi settanta e i primi anni dei futuribili ottanta, questi romanzi li avete amati come e quanto me. Fatta la necessaria premessa, torniamo al romanzo di Andrea De Carlo. Allora, diciamo che il romanzo non era uno specchio di come sognavo d'essere ma era letteralemnte un Romanzo, i cui protagonisti avevano un certo appeal che li rendeva simpatici ed emotivamente adiacenti alla mia vita. Formalmente e' il motivo per cui ho amato questo romanzo, volevo una vita come quella dei protagonisti (e anche un cane come quello del protagonista).

Cristhine F, noi i ragazzi dello Zoo di Berlino.


Ok questa e' stata una pugnalata al cuore. Avevo circa 18/19 anni e questo romanzo mi ha tenuto compagnia, come solo un coltello a lama lungha infilato con forza tra le costole, sa fare. Il romanzo era con me sempre, chiuso in uno zainetto, e pronto ad emergere con la sua carica di tristezza e dramma. Ho amato il romanzo perche' i protagonisti erano simili a me nell'approccio alla vita, con la differenza che la loro vita, era fatta di eroina, david bowie, berlino, sesso, piscio e lacrime.

IT



Ero innamorato follemente di questa ragazza del terzo banco. Ne sono stato innamorato per tot, come solo gli amori non corrisposti sanno durare. Soffrivo per lei tantissimo, e avrei fatto di tutto per poter stare con lei (e fidatevi anche solo l'idea di fare sesso con lei era distante miliardi di anni luce). Pur di vederla ho passato un estate nel suo paesino, seduto un po dove capitava lungo il tragitto tra casa sua e la chiesa, nella (#vana) speranza di vederla passare. Con me c'era (una volta) il buon vecchio zio stephen king, ed i ragazzi di Derry. Insomma quel libro era un condensato di horror anni 50 americano e dei sogni di un gruppo di 15enni perdenti ma fantasiosi. Eppure quei ragazzi della provincia-provincia americana erano mitici nel loro essere perdenti, e cosi la mia bici divenne Silver, anche se era di un pacchiano color oro, ed ogni volta che solcavo le strade rotte e senza asfalto della provincia napoletana, urlavo con la pazzia dei sedici anni: ehi oh silver!! E mi sentivo un eroe perdente del romanzo di King, e tanto mi bastava per non sentire le pene dell'amore non corrisposto.

Il piccolo principe.


Allora tirate il freno a mano, mettete in pausa skyrim, salvate la vostra partita di batman: arkam city, e prestate attenzione, perche' qui si parla del mio romanzo preferito. C'era una volta, ma c'e' anche adesso una mia Amica (di quelle vere, di quelle che restano anche se a kilometri di distanza) di nome Marcella, tale fanciulla nella sua vita mi ha regalato e/o fatto scoprire più di un romanzo, e tra questi c'e' la fiaba del piccolo principe. Ora dovete capire che io sono talmente in fissa con sto romanzo che tipo in ogni paese in cui finisco per lavoro (#spesso/sempre) o per piacere (#mai) ne compro una copia in lingua. La storia tra la volpe ed il piccolo principe, con la loro questione su "l'addomesticarsi" mi ha sempre commosso. Anche se poi a dirla tutta, il mio passo preferito e' l'altro, quello in cui il bambinetto principesco chiede al serpente se ha del buon veleno, perche' vuole morire.
Oh si beh in effetti e' triste come parte, ma cosa volte farci, ormai l'avrete capito sarò pure uno stronzo ma sono uno stronzo romantico (#credici). e poi c'è quella frase.. si va beh conoscete tutti quella frase quella sull'invisibile. quella mi ricorda troppo un mmojito bevuto da solo in un bar, ma questa è una storia che può capire solo una persona... L'unica RagazZa.

Ok ragazzi ho raccontato abbastanza, ho messo nuovamente in fila i ricordi della mia adolescenza, e ho cercato come sempre di farvi passare in allegria qualche minuto, magari mentre siete a casa soletti o in ufficio cazzeggianti.
ora torniamo al mondo reale però, che io come sempre ho da Mettere Ordine in Casa.

domenica 4 marzo 2012

[diario]: una domenica che forse non dimenticherai

Gentili Tutti,
alcuni dicono che il diavolo sia nei particolari, ma io da buon catto-comunista sono assolutamente sicuro che Dio sia nei particolari.

Oggi la mia vita e' stata scandita dai particolari. La prima domenica di marzo del 2012 (che scritto cosi fa molto film di fantascienza noir diretto dal fratello scemo di tony scott), forse sara' uno di quei giorni che dimentichero' come altri o forse no, e nel caso il forse-no e' tutto merito dei particolari.

Primo flashback in bianco.
La mia hogan sinistra con la punta scollata.




Non trovo il tempo di incollare la scarpa, e mi vergogno come un cane ogni volta che la guardo.
Ora la sto fissando, e penso di vergognarmi davvero tanto se qualcuno per strada notasse la mia hogan sinistra. Poi l'inquadratura si allarga, e sono su di una panchina della stazione centrale di milano, poco fuori dalla Chiesa della stazione. Sono al telefono, sto chiamando uno di quei numeri che non hai salvato in rubrica, uno di quelli che componi ancora alla vecchia maniera, senza copia/incolla o menate varie. La voce al telefono e' quella di mio zio.
Ha sposato la sorella di mio padre e per questo si e' guadagnato me come nipote-premio. Era in sala parto quando mia madre mi ha dato al mondo, era in cucina in molti Natali mentre faceva cose da zio tipo insegnarti il poker (ah... Ecco per quello mi spiace zio, mi sono impegnato ma non sono riuscito a prendere il vizio) ed era in salotto quando ero con suo figlio a provare a rianimare la nonna prima che ci andasse a preparare la lista per gli ingressi in quel noto locale chiamato Paradiso.

Secondo flashback.
Il buco da sigaretta accesa sul giubotto vecchio della robe di kappa che mio padre aveva preso con ventoridicimille punti alla Esso.





Mi vergogno come un cane di aver messo la giacca della robe di kappa, mi sta male, mi sta grande, e ha un buco da sigaretta, insomma sembro uno spacciatore di ultima e non mi va di apparire come un me stesso più giovane e meno rock.
L'inquadratura si allarga, sono sulla stessa panchina di cui sopra.
Sono al telefono con lo zio di cui sopra. Domani si opera, ma di quello ovviamente non parliamo, parliamo di calcio (ed e' tutto un dire se sapete quanto mi fa totalmente schifo il calcio), parliamo di cugini, di milano del mio lavoro. Mi prende in giro, mi dice tanto e nulla, alla fine io vorrei parlare ancora, vorrei dirgli dell'ultima serie di cui vado orgoglioso, delle notti a leggere le sceneggiature, delle riunioni con gli attori, le visoni con i direttori, vorrei dire tanto e poi di più, ma lo zio e' stanco e le mie parole sono solo eco per sordi. Al telefono scivola mia zia, il resto sono parole sul pregare. Io, intanto ho perso la diga e ho la faccia da temporale estivo.

Terzo flashback in bianco.
La t-shirt degli X-Men, la camicia a quadri elasticizzata da tamarro.





A Bologna mi sono comparto un vestito da tamarro nerd la settimana scorsa.
Ne vado fiero, a 16 non avevo i soldi per vestirmi cosi e restavo imbardato nei vestiti usati di mio cugino con due taglie e due gusti di troppo.
La panchina e' la medesima, la telefonata e' finita, il temporale estivo pure. Mia madre dice poco, poi entriamo nella Chiesa della stazione e preghiamo. Lei dietro ed io due file più avanti.
Prego e poi mentre usciamo vedo mia madre che mi sorride. E allora l'inquadratura si allarga ed io mia madre siamo le iene di tarantino ma senza cravatta ma con la stessa classe nel passeggiare verso la macchina da presa, il mio sorriso rock e' un dito medio a tutti i bestemmiatori, il resto dissolve nel bianco.

Quarto flashback.
La borsa della pquadro nuova, che e' figa e l'ho comparata da solo (senza l'aiuto di una gnokka).





La stazione e' quella dei flashback sopra, io ho una bella borsa mia madre la guarda e mi chiede se e' un regalo, io dico di no. La seconda domanda di mia madre arriva puntuale come un
treno olandese (treanitalia socaaaaa): ma possibile che non hai conosciuto nessuna signorina?
Io ci penso un attimo, ripenso all'operazione di mia madre, ripenso alla prossima, la guardo cosi bella nei sui sessantanni portati male, con il suo cappotto fuori moda, ed il suo taglio di cappelli fatto in casa, penso ai suoi occhiali da sole portati non per moda, e sorrido.
Distolgo lo sguardo da lei e fingo di guardare la minigonna di una phegaa di legno che passa con la sua louise non-so-perche-vitton. Mia madre si ingiudaballerina, io scherzo, e dico: non mi vuole nessuna. Nessuna, che ha il sapore dei sms non risposti, delle chiamate non risposte, dello stronzo che sono con tutte.
Ma nessuna ha solo il senso di un giro di basso dei deep purple prima dei pensieri sbagliati su L'unica RagazZa, ed i ricordi di lei sono la voce di Ian Gillan nella playlist della mia memoria.
Poi mia madre, mi dice solo qualcosa che suona lontano e finisce per sasicc' e friarell' mentre l'inquadratura si allarga su di una dissolvenza in bianco.

Ultimo flashback
La metro verde di milano ed una coppia romana che dialoga accanto a me.



Lei ha l'accento romano e parla in quel romanesco che sa d'italiano troncato.
A me lei sembra la voce narrante e dissacrante dell'ironica V. di questo blog che in questo periodo mi fa compagnia nelle letture.
Poi i due smettonono di essere rumore di fondo e posso distinguere i dialoghi. In tre battute capisco che la lei della coppia e' a quinterdodicimila album di distanza dalla voce narrante del blog di cui sopra, ed io mi perdo nello scrivere questo post sul mio blackberry. arriva la mia fermata, riprendo contatto con la realtà, mi volto prima di uscire e guardo la coppia, e mentalmente auguro alla v. del blog di cui prima di trovare un figo come quello della coppia (fidati era una combo tra un punk-a-bestia ed un modello) e di non fare mai dialoghi come la lei della coppia.

Il resto e' una dissolvenza in nero su di me che in una domenica pomeriggio cerco di Mettere Ordine in Casa, mentre mi lavo la faccia per riprendere fiato dall'apnea di una domenica che forse non dimenticherò.

giovedì 1 marzo 2012

[diario]: viaggiare in tram, in metro, in bus o con la fantasia (e spesso senza biglietto)

Gentili Tutti,

benvenuti ad una nuova fantastica (#credici) puntata della rubrica [diario].

Come i miei amati 42 lettori sanno, questa rubrica è semplicemente un flusso di coscienza, libero e puro (se puro io? non sono più puro da quando avevo 13 anni, e ho scoperto ....), che coglie un trentacinquenne come me quando la voglia di tv sparisce e la necessità di condividere i pensieri straripa su di una tastiera.

Non so se capita spesso anche a voi, ma io quando sono in metro o in tram, immagino, sogno, indago.

I miei sguardi furtivi sono tutti per gli altri passeggeri, li analizzo come un novello e più stupido Sherlok (si quello del telefilm! i romanzi? eh???!), cercando d’immaginare le loro vite oltre quel viaggio, le loro vite oltre.

Ma fidatevi di me se vi dico che nel mio indagare non c’è malizia, ma pura e semplice curiosità. Sono curioso, per natura e amo imparare, e cerco in tutti quelli che incrocio nella mia vita di trovare uno spunto, una frazione che mi permetta di comprendere vite distanti e mai tangenti alla mia.

Oh, già vi vedo pronti davanti ai vostri schermi, a lamentarvi della mia ennesima filosofia da blogger , ma se avrete pazienza forse vi divertire con me in questo stupido viaggio nell’universo dei viaggiatori.

Nella mia vita ho vissuto e lavorato in molte città, ma in ogni città ho trovato le medesime abitudini di viaggio.

Tipologie di viaggiatore:

1 – il disperso nella lettura. Che sia un quotidiano (ovviamente freepress) o un libro, il loro sguardo è sempre simile: sognante. Hanno l’aria di chi il viaggio lo ama e lo vive come un’isola felice dove regna il tempo di qualche pagina. Sono vestiti distrattamente, non hanno la fissa dell’abbinamento, e questo perché per loro uscire di casa è funzionale solo al poter leggere.

2 – il cellulare. Mediamente hanno circa 16 – 35 anni, e passano le loro brevi trasferte in metro o in tram con gli occhi puntati su uno schermo, mediamente I-coso, tra sms, email o whatapp , sorridono ciclicamente. Alla fine penso che il loro scrivere e leggere compulsivo ignorando il mondo e l’umanità che fa da cornice al loro viaggio, sia mirato unicamente al non sentirsi soli. Nel loro sporadico sorriso trovano la soddisfazione del tanto digitare. Che poi sorridano per una mail di lavoro, o per un sms di amici, amiche, mogli, mariti o amanti non ha valore, tutto è scritto e letto solo in funzione del sorriso.

3 – fissità tipica del gatto. Sono quelli che non sono in tram o metro ma in un mondo parallelo, in cui la loro vita è stata messa in “pause” sul grande dvd della vita per la durata del viaggio. Sono immobili, ghiacciati, senza espressione, sembrano dei manichini vestiti (di solito male) fuori stagione. Per loro il viaggio non conta, conta solo il loro pensare.

4 – impazienti. Agitati cronici, spesso studenti o manager, per loro il viaggio è una sofferenza, una tortura di cui farebbero volentieri a meno. Sono vestiti “allentati”, tutto è affanno nel loro essere, non stanno seduti e guardano il cellulare solo per distinguere l’orario. Vivono spesso in prossimità delle porte e leggono i nomi delle fermate anche se conoscono a memoria il tragitto.

5 – maniaci delle pulizie. Hanno un fazzoletto e si tengono alle aste anti-caduta (o come giudaballerino si chiamano) solo attraverso un fazzoletto di carta usa e getta. Sono infastiditi, non amano chi li circonda e considerano il resto dei viaggiatori un peso. Passerebbero le loro vite nelle loro immacolate auto, ma per via delle ZTL o del costo della benzina sono costretti ad abbassarsi ai mezzi pubblici.

6 – i gruppi. Che siano ragazzini o signori in gita, hanno tutto un sorriso stupito per ogni fermata. Non amano il viaggio ma amano il condividere il viaggio con gli amici o i colleghi. La loro caratteristica: spettegolano di tutto e di tutti. Se con discrezione li ascoltate potrete sapere più informazioni di una wikipidia verbale a luci rosse.

7 – i pazzi. Quelli a cui il destino ha giocato lo scherzo di guardare il mondo con troppa emotività. Sono incasinati, sporchi e attacca parole, il solo scrutarli farà nascere una conversazione con voi, che nella maggior parte dei casi continuerà anche quando voi sarete usciti dalla metro e loro diretti al capolinea.

8 – gli anziani. Semplicemente emozionati dalla paura del viaggio, che vi rivolgeranno la parola a qualsiasi costo, per sentirsi meno soli. A me ricordano i blogger, anche loro come me, sono spinti dalla necessità di esprimere il traffico che hanno dentro, con chiunque, nella speranza di sentirsi meno soli.

9 – Gli osservatori. Ehi calma, non ho detto quelli della serie tv Buffy, questi sono quelli che come me vi scrutano e provano ad immaginarvi. Vi guardano le scarpe, i vestiti, ma sono discreti e divertiti, insomma fondamentalmente curiosi.

Beh, questi sono i miei compagni di viaggio da quando tredicenne timido presi la metro da solo per la prima volta. Sono sempre diversi ma sempre uguali, cambiano nell’abbigliamento ma non nelle tipologie. E grazie a loro che ogni volta che salgo in un tram, in un autobus, in una metro, in un treno mi sento un pochino a casa.

A loro va il mio grazie, perché a loro modo anche loro, ci sono sempre stati.

Quando piangevo per L’unica RagazZa, quando chiudevo le telefonate con mia madre, quando incerto mi chiedevo cosa ne sarebbe stato di me al lavoro, quando distrattamente tremavo per un esame che non avevo studiato, o quando semplicemente ho trascorso un pezzo della mia vita con loro.

Grazie a tutti voi che non mi avete mai conosciuto.

Ah, se salite in un mezzo pubblico domani, guardatevi intorno, se un ragazzo vi sorride, non è un cretino che ci sta provando, ma forse sono io che vi sto dando un posto nella mia temporanea famiglia viaggiante.

well, siamo arrivati. Si scende, dai tutti in fila usciamo dalla mia mente, che anche per oggi ho provato a Mettere Ordine in Casa.